Lino Strangis, Pensiero
volante non identificato, 2014
Dove va la Computer Art?
E dove deve andare?
Deve essere, se proprio deve dovere.
[…]Ma le risposte sono
tuttora incerte, ambigue; anzi infinìgue.
Gianni Toti, in “Poetronike”, n° 3, 1990
Come lo stretto pertugio che divide/unisce le ampolle di una clessidra,
l’opera complessiva di Lino Strangis condensa e rilancia decenni di
sperimentazione audio-visiva dalla nascita del cinema alle sue contaminazioni
con la pittura confluite poi nell’animazione. E’ storia nota, ma è bene
ricapitolarne i punti salienti per evidenziarne l’evoluzione che supporta la
ricerca di Strangis, fino al superamento del concetto stesso di animazione, per
riportarla alle sue ragioni primeve, ovvero ad un cinema puro e contaminato al
contempo. Puro per vocazione integrante forma, movimento e suono, contaminato
per l’espansione verso ambiti linguistici contigui, dalla video arte, al video
teatro, alla video danza. Rapidamente ricordiamo le esperienze pitto-cinetiche
di Len Lye riprese da Norman McLaren, gli oggetti-forma di Hans Richter, la
sinestesia tra forma, colore e suono di Oskar Fischinger. Pittura e cinema,
ovvero forma, colore, e movimento a cui il suono dà ritmo ed equilibrio,
definiscono da subito l’essenza delle immagini in movimento, ma è con l’avvento
delle nuove tecnologie elettroniche, negli anni Sessanta, ed il passaggio
dall’analogico al digitale, che la sperimentazione audio-visiva aumenta
grandemente le possibilità percettive; e sarà la volta di autori come Jordan
Belson o John e James Whitney, agli albori di ciò che verrà chiamata, con una
certa semplificazione nominale, Computer Art, riferendosi semplicemente al
dispositivo ed alle sue potenzialità grafiche, dimenticando, forse, che
l’enorme differenza tra un prodotto analogico ed uno digitale, al di là dei
mezzi adottati, è la luce: i supporti
analogici la assorbono, quelli digitali la emanano, decretandone la qualità
percettiva di fondo. E qui, a mio
avviso, risiede la grande differenza paradigmatica nella costellazione eidetica
di forma, colore, movimento e suono, tra i dispositivi e i supporti; implicando
con ciò una sostanziale parità tra analogico e digitale sul piano della
legittimazione artistica, ma una irriducibile differenza sul piano della resa
percettiva. Benché l’avvento del digitale aumenti le possibilità
dell’invenzione, esso non cambia la sostanza della percezione ottica. Potremmo a questo punto riferirci all’effetto
dell’uso di sostanze allucinogene, notoriamente utilizzate da molti cineasti sperimentali
nella California degli anni Sessanta, per poter illuderci che l’utilizzo di
questa tecnologia psicotropa, con effetti potenzianti le percezioni naturali,
possa avvicinarsi al caleidoscopio ancora meccanico di Fischinger o al
“mandala” psicotropo di Belson sfondando diverse porte percettive, in realtà il
loro contributo non riguarda tanto la re-definizione formale degli eventi
percepiti, quanto il loro senso; e qui Gene Youngblood (1970) è piuttosto
chiaro: trattasi di andare oltre la percezione per raggiungere, attraverso un
gioco simbolico, una consapevolezza cosmica dell’essenza umana, comunicare
senso e significato universali.
Queste considerazioni preliminari al commento dell’opera di Lino
Strangis, trovano la propria giustificazione nelle caratteristiche di fondo
dell’ultimo lavoro dell’artista: Pensiero
volante non identificato. In esso, infatti, si raccolgono e condensano, per
rilanciarsi in nuove ed inusitate interazioni e connessioni, i paradigmi
dell’audio-visione a cui abbiamo accennato e la sfera simbolica dove agiscono
in background gli archetipi dell’inconscio collettivo, tema classico di molti
filmmaker d’oltreoceano. Raccolte le
ascendenze e le assonanze, è tempo di identificare la peculiarità del video di
Strangis e le sue divaricazioni da ciò che con un ossimoro potremmo definire la
“tradizione” avanguardista. Dunque Pensiero
volante non identificato non è ascrivibile nell’ambito dell’animazione, non
è semplice opera grafica nel contesto della defunta Computer Art, non è nemmeno
– o non soltanto – un’opera di video arte o video teatro, bensì opera aperta, o
come direbbe Gianni Toti è opera infinìgua,
ovvero infinitamente aperta al divenire e sufficientemente ambigua da non
essere ascrivibile in un ambito certo e definitivo. Opera cognitiva quindi, con
il suo carico noetico, che non riconduce al solito misticismo orientale di
tanta produzione psichedelica, quanto ad una certa lucidità scientifica e
sufficientemente astratta da utilizzare il gioco di simboli come tags o interfacce
grafiche, allusive ad ulteriori considerazioni filosofiche. Un pensiero volante, appunto, instabile e lanciato
come spirito guida attraverso il continuum spazio temporale del cosmo, secondo
un ritmo e un suono, che danno ordine, cadenza e struttura al volo noetico che
conduce all’uomo, alla sua essenza, rappresentata centralmente nel video di
Strangis. Ma a quale umanità o a quale stadio della sua evoluzione coscienziale
e cognitiva allude l’autore? Notiamo che nessuna distopia cyber o Post Human
disturba il volo, il quale sembra piuttosto foriero di una nuova proposizione
universale. Sembra cioè indicare ed auspicare, un percorso evolutivo che
conduca a ciò che Teilhard de Chardin indicava come superamento dell’umanesimo
classico in una nuova forma di sincretismo teologico-scientifico che
maggiormente si avvicini alle necessità dello spirito, libero e non
identificabile se non nella sovrastruttura del possibile.
Piero Deggiovanni
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